La crocefissione di Polverigi
Per avere un quadro completo di quest’opera è opportuno che il visitatore si soffermi sui pannelli illustrativi esposti nell’atrio della sala consiliare. La “Crocefissione di Polverigi” è il dipinto più antico del Comune e probabilmente il più prestigioso. Ritrovato in una nicchia del Palazzo Comunale, si è parzialmente conservato grazie ad un muro in foglio che, nel 1826, uno sconosciuto muratore gli ha eretto davanti quando l’antica “Chiesa del Crocifisso” oggi perduta, è stata inglobata nella residenza municipale. Da quell’anno lontano, della pala si era persa memoria e non poteva essere altrimenti perché il dipinto riportato alla luce appariva di fattura modesta in seguito a numerose manomissioni che lo ricoprivano. Così è rimasto nell’ufficio tecnico comunale fino al 1978 quando a seguito di alcuni indizi che erano visibili, l’Amministrazione Comunale decise di far fare alcuni saggi per vedere quale fosse l’opera originaria. Com’era prevedibile, ma non scontato, il dipinto si rivelò di pregevolissima fattura anche se mutilato per circa due terzi della sua superficie e così si decise di restaurarlo. Quell’inconsueta pittura murale liberata dalle incerte figure che la ricoprivano, si è rivelata un pregevolissimo e originalissimo affresco quattrocentesco appartenente al periodo del “gotico gentile o cortese” sviluppatosi nelle Marche tra l’inizio del rinascimento e i primi del Cinquecento. L’affresco divenne subito oggetto di studio da parte del prof Zampetti, il maggior esperto italiano di pittura rinascimentale, che l’ha collocato tra le opere della “Scuola di Ancona”, attiva in città per l’attività di alcuni ottimi pittori marchigiani tra i quali Olivuccio di Ceccarello al quale il critico era propenso ad attribuirla. Sul versante della ricostruzione iconografica, il presidente della Mediateca Comunale, Prof Rigotti ha eseguito studi comparativi con opere del periodo e, grazie all’utilizzo delle tecnologie informatiche e ad alcuni punti chiave rimasti fortunosamente nell’affresco è riuscito a definire quasi per intero e con buona approssimazione la ricostruzione del dipinto. Questo grande frammento è la porzione di un’ampia e monumentale Crocifissione dove sono potentemente caratterizzati lo stile ed un’iconografia eccezionale ed inusitata per la regione marchigiana. La composizione prevede infatti la rappresentazione dell’episodio secondo la narrazione ampia e circostanziata, fatta nei testi dei quattro Evangelisti e presenta quindi la raffigurazione dei due ladroni crocifissi ai lati del Cristo, oltre ad una turba immensa di soldati di cui si scorgono gli elmi in successione, oltre alla selva di lance e bandiere. Una crocifissione così affollata, verrebbe da dire così stipata e congestionata da soldatesche romane, come proclamano le sigle nelle bandiere, non si è mai vista nelle Marche, nemmeno nel grande affresco dei fratelli Salimbeni ad Urbino del 1416, nell’Oratorio di San Giovanni. La sua iconografia è certamente desunta da qualche esemplare del nord Italia, dove si trovano le rappresentazioni pittoriche, ad esempio, del pittore piemontese Jaquerio. Dal punto di vista stilistico, l’opera è realizzata secondo i modi e le scelte espressive del pittore Giovanni Antonio Bellinzoni detto da Pesaro, a cui può essere attribuita grazie al confronto con le sue opere certe di Serra de’ Conti (oggi nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino) e, soprattutto, della Chiesa di San Francesco di Rovereto di Saltara. Il tutto perché l’autore pesarese è stato frequentemente attivo nella ‘marca anconetana’, soprattutto fra quarto e quinto decennio del quattrocento dove ebbe a confrontarsi con la vasta attività di quell’Olivuccio di Ceccarello ipotizzato da Zampetti, con la bottega del quale ebbe forse ad intrattenere dei contratti specifici.