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Cenni Storici

Le origini

Il documento più antico della storia di Polverigi riguarda una enfiteusi concessa dall’Arcivescovo di Ravenna Gebeardo (1017-1044) nella prima metà del sec XI, relativa ad una Massa (podere) nella pieve di S. Damiano del territorio di Ancona. Di questo podere, chiamato nel regesto dell’abate Ginanni Massa de Muro, non si hanno altre notizie, ma la sua ubicazione è possibile grazie al riferimento al territorio anconitano e soprattutto alla Pieve di S. Damiano una chiesa esistente in età medioevale nel nostro territorio vicina al confine con Agugliano, sul versante della collina detta Monte di Refe. La chiesa, come tutte le pievi, era stata fondata laddove esisteva un piccolo insediamento, ovviamente sparso ma di qualche entità, per cui è pensabile che già a quella data (sec. XI) i versanti collinari fossero coltivati e popolati. Altre tracce di popolamento del territorio di Polverigi anteriori alla nascita del castello, risalgono ai secoli XI e XII e si ritrovano in tre toponimi Marcigliano, Pagus e Campogliano, che identificano sia piccole zone abitate della collina di San Vincenzo, sia un modesto insediamento vicino alla chiesa parrocchiale che porta tuttora il nome di Campoiano i cui abitanti coltivavano esigui appezzamenti di un territorio prevalentemente coperto da selve e boscaglie dove si praticavano la caccia, l’allevamento brado e la raccolta della legna e dei frutti del bosco.

La costruzione del castello

Le cose cambiarono poco dopo il mille, quando, in seguito al miglioramento delle condizioni di vita ed alla conseguente crescita demografica, le colline cominciarono a popolarsi di castelli dando vita al fenomeno dell’incastellamento che interessò anche Polverigi. In che modo, in che misura e soprattutto in quali anni la nascita del castello (o più propriamente borgo fortificato) si sia inserita in questo quadro storico è impossibile saperlo per mancanza di documenti, ma presumibilmente ciò è avvenuto verso la metà del XII sec. quando si scelse di fortificare il piccolo poggio che sovrastava la chiesa, accessibile da un lato ma facilmente difendibile da tutti gli altri. Stando così le cose, la prima notizia certa sul Castello di Polverigi è del 1198 quando viene nominato nel patto antimperiale di federazione tra Osimo e Ancona, che gli attribuisce la possibilità o meno di aderirvi (..."se alcun castello del contado di Ancona, cioè Paterno, Polverigi, Gallignano, vorrà entrare nella confederazione, lo potrà a beneplacito di Ancona...). A quella data il castello, aveva già una sua precisa identità giuridica e soprattutto godeva di una certa autonomia, come si deduce dalla libertà concessagli di entrare o meno nel patto federativo, che gli permise di aderire immediatamente alla confederazione e di rimanervi a lungo.

La pace di Polverigi

Qualche anno dopo, nel 1202, a Polverigi fu stipulato un importante Patto di Pace (vedi box) che, oltre agli effetti di politica locale affatto secondari, segnò la fine del medioevo e del potere imperiale, e l’inizio dell’età dei Comuni sotto l’egida della Chiesa. A quel tempo, la Marca di Ancona era governata da Marqualdo d’Anweiler, personaggio tirannico e sanguinario (a cui anche Polverigi ebbe a pagare a caro prezzo la sua ferocia), più dedito a continue scorribande, devastazioni, saccheggiamenti e razzie che al governo del territorio. I comuni, che aspiravano a liberarsi dalla sudditanza nei confronti dell’Impero lo costrinsero a pacificarsi con il papa e ad uscire definitivamente dalla scena marchigiana, per poi dividersi in due fazioni per questioni territoriali. Questo stato di cose, però, non poteva piacere al Papa che mise in atto una politica di pacificazione conclusasi col trattato di pace firmato solennemente nel castello di Polverigi il 18 gennaio 1202.

Vicende del XIII secolo

Con la firma della pace, Polverigi si era creato la fama di castello indipendente svolgendo da tempo un importante ruolo strategico e rappresentando il principale avamposto di Ancona verso Jesi e Osimo. Costituiva inoltre un importante luogo di transito tanto ché nel 1214, Aldobrandino marchese d’Este e d’Ancona, lo utilizzò per concedere al comune di Fermo alcuni privilegi per la sua fedeltà alla Chiesa. Nella seconda parte del XIII secolo fu confermato da Papa Innocenzo IV, tra il patrimonio del Vescovo di Ancona e negli ultimi anni del secolo fu in lotta con Jesi e Ripe (oggi Santa Maria Nuova). Per comporre le divergenze, il 13 febbraio 1299 a Chiaravalle, il notaio di Polverigi sottoscrisse un patto di pacificazione tra, i podestà di Jesi, di Ancona e di Polverigi. Il documento è importante perché da esso si può rilevare che la comunità di Polverigi disponeva di un proprio notaio, designava un Sindaco a tutela dei propri interessi, poteva contare su entrate proprie e partecipava come entità giuridica autonoma, accanto al Comune di Ancona, nelle questioni che lo riguardavano direttamente.

Lotte e distruzioni trecentesche

Nel 1323 Polverigi si ritrovò con Ancona dalla parte guelfa e si mise sotto la sua protezione per contrastare le rappresaglie dei ghibellini osimani e dei fuorusciti anconetani capeggiati da Lippaccio Guzzolini, ma nel corso delle violenze successive venne occupato e saccheggiato spesso dalle truppe del capitano Lo Schiavo. Le angherie, le occupazioni e le guerre durarono tutto il secolo e Polverigi, come tutti i castelli del circondario ne uscì malconcio ed in condizioni precarie. Nel 1346 fu preso dai Malatesta e fortificato da Galeotto, ma dieci anni dopo subì la prima distruzione parziale (torri e fortificazioni, con la base della cinta muraria rimasta intatta) per aver opposto resistenza alle truppe della Chiesa. Nel 1378 alcuni abitanti furono fatti prigionieri dagli jesini a seguito delle lotte contro Ancona, mentre l’anno successivo la città dorica fece ricostruire le fortificazioni in quanto il castello era uno dei pochi in grado di contribuire al rifornimento annonario della città. A fine secolo le ostilità continuarono a minacciare tutta la cerchia difensiva della città dorica così come Polverigi, tanto che gli abitanti avanzarono ad Ancona un’insolita, ma sensata richiesta. Chiesero cioè di poter demolire il convento di Santa Maria Maddalena (ma non la chiesa) perché, per la sua posizione si prestava ad essere utilizzato da eventuali nemici, e di poter impiegare il materiale di risulta per riparare le mura che stavano andando in rovina. Non sappiamo se ciò sia avvenuto ma i timori dei polverigiani si avverarono perché tra 1391 e il 1394, prima le milizie mercenarie, poi quelle di Tridino di Broglio ed infine quelle di Milano d’Asti devastarono a più riprese il borgo fortificato causando crisi tali da indurre il consiglio a obbligare gli emigrati al rientro nelle famiglie d’origine per potersi difendere. Tra crisi demografica ed un processo di emergenza continua, terminò così un secolo difficile che negli anni successivi portò il castello una lenta ed irreversibile decadenza.

Vita e decadenza rinascimentale

I primi anni del XV sec. passano tra guerre, battaglie, saccheggi e fatti di minore entità che vedono continuamente coinvolto Polverigi in dispute di confine con Jesi ed Osimo e che si risolvono nel 1474 ripercuotendosi fortemente sulle vicende interne e sulle condizioni economiche degli abitanti. Tale situazione e introduzione delle armi da fuoco finiscono così per contribuire alla decadenza dell’insediamento ed al rafforzamento dei centri maggiori perché, a differenza di quanto avviene nel circondario in cui le città hanno previsto fin dal ’200 la partecipazione degli abitanti del contado alla gestione della cosa pubblica in forma quasi paritaria rispetto agli abitanti del capoluogo, Ancona ha sempre negato, fino a tutto il ’700, un qualsiasi equilibrio di collaborazione, imponendo a tutti un vincolo di subordinazione molto rigido. Questo sistema discriminatorio ha impedito la formazione di una ricca borghesia e di una nobiltà locale divenendo così una delle cause principali dell’arretratezza economica e sociale dei castelli anconetani ed in particolare di Polverigi la cui vita ed il cui corpo sociale divenne talmente asfittico da favorire il suo declino definitivo.

Lo Stato della Chiesa

Nel XVI secolo, la politica pontificia di favorire o contrastare i disegni dei signori che vogliono costruirsi o mantenere in vita un proprio status, trasforma le Marche in un terreno di scorrerie e scontri a ripetizione in cui il nostro castello, per la sua posizione, è continuamente coinvolto. Quando Jesi, tra il 1504 ed il 1513 tenta di conquistarsi uno sbocco al mare, Polverigi viene prima occupato da 300 fanti del Signore di Montevecchio, alleato di Ancona e poi deve inviare suoi uomini in soccorso della città dorica per evitare forti sanzioni pecuniarie. Nel marzo del 1517 respinge un attacco di assalitori, nel 1528 e nel 1557 deve subire angherie difendersi sia dalle truppe imperiali che da quelle francesi, mentre nel 1563 e nel 1565, è costretto tollerare l’occupazione pontificia subendo ancora ingenti spese, disagi e danni. Nel 1532, con la definitiva sottomissione di Ancona e del suo territorio allo Stato della Chiesa, inizia un nuovo capitolo di storia del nostro comune che, dal 1566 viene inserito nello Statuto della città. In questo periodo però, soprattutto per motivi politici, iniziano anche una serie di screzi e lamentele dei castelli che rendono difficili i rapporti con il capoluogo e che si prolungano fino a tutto il ’700. Una serie di pesanti obblighi e molteplici prestazioni viste dagli abitanti come vere e proprie vessazioni sfociano sempre più in cause lunghe e costose; tra queste, la più scottante è quella fiscale che porta Ancona a rimuovere gli amministratori riottosi ed a sostituirli con persone di fiducia, suscitando altri malumori tanto che nel 1532 finiscono in carcere 40 Massari del castello fino a quando non viene versata una pesante cauzione per la loro liberazione. Così, tra imposizioni, vecchie e nuove gabelle, tasse catastali, rivolte e lamentele, si consumano due secoli e si arriva al 1700 che vede proseguire ed acuirsi le divergenze tra città e castelli. Il XVIII, fu un secolo di altre lotte e altre vertenze ma anche di vittorie legali che spesso condannarono Ancona a risarcire il maltolto, soprattutto per la manutenzione delle strade (1789) e per la tassa sul sale (1796). Sul finire, fu anche il secolo che vide scoppiare violenta la rivoluzione francese e che portò le truppe napoleoniche ad occupare le nostre terre condannando lo stato pontificio, tra sussulti e restaurazioni ad una progressiva ed irreversibile decadenza.

Dal periodo francese all'unità d’Italia

I francesi occupano Ancona e la sua marca nel febbraio del 1797 applicando una legislazione che abolisce contadi e castelli, li trasforma in comuni autonomi e affida la loro amministrazione, di stampo giacobino, ai cittadini ritenuti più capaci. A Polverigi, dopo aver arrestato tutti i frati e vari cittadini, viene saccheggiato, chiuso e trasformato in alloggio per le truppe il Convento agostiniano di Santa Maria Maddalena. La nuova situazione giuridica si sviluppa negli anni e si modifica più volte tra riforme e restaurazioni dovute agli influssi delle vicende napoleoniche, papali ed austriache fino all'Unità d’Italia, ma alla fine, pur tra continue difficoltà, ha il pregio di consolidare stabilmente un nuovo tipo di amministrazione locale trasparente e democratica. Nel 1798 il primo sindaco, col titolo di edile, è Ignazio Nappi e da allora al 1860 alla guida del paese si susseguono in più riprese altri 11 cittadini. Nel 1816, dopo l’abrogazione definitiva gli statuti medioevali, rimangono in vita i comuni e Polverigi, tra difficoltà economiche e malesseri sociali ritenuti spesso illegali o presunti tali, viene inserito nel distretto di Osimo. A fare le spese di queste circostanze, ad esempio, nel 1849 è il farmacista del paese che finisce in carcere con l’accusa di aver progettato l’uccisione di tutti gli austriaci della guarnigione di Ancona avvelenando la farina per il pane. Si scoprirà poi che si trattò di una bravata sotto l’effetto dell’alcool che però gli costò l’incarico. Le vere difficoltà invece si manifestano attraverso il calo della popolazione che in otto anni (1853-1861) diminuisce di ben 80 unità attestandosi sulle 2100 persone.

Dal 1800 al periodo fascista

Il passaggio tra il vecchio regime papale ed il nuovo Regno d’Italia avviene senza scosse e mutamenti apparenti. L’organizzazione della vita collettiva è rimasta la stessa per alcuni decenni ed ha limitato i propri adeguamenti al nuovo impianto istituzionale mantenendo per tutto il XIX secolo quella caratteristica di comune agricolo che fa diventare Polverigi sempre più povero e marginale con risorse insufficienti alla nascita di un’autonoma economia locale. Tra la fine del secolo e gli anni 20, grazie ad un programma statale di sviluppo vengono realizzate per la prima volta numerose opere pubbliche (l’acquedotto, il cimitero, le strade dei Pratacci e dell’Aspio, l’azienda elettrica, le scuole, la ricostruzione delle mura castellane, l’ospedale, ecc) ed un ampliamento del centro urbano interrotto solo dallo scoppio della prima guerra mondiale. Il conflitto costa a Polverigi la vita di 56 cittadini e il periodo postbellico vede insorgere e dilagare una conflittualità sociale e politica alimentata da una profonda crisi economica, dovute alle aspirazioni dei cittadini e degli ex combattenti ad una maggiore giustizia sociale.

Il secondo conflitto mondiale e la repubblica

La nomina del commissario prefettizio del 4 gennaio 1924 segna anche per Polverigi la fine della legalità costituzionale e l’inizio del ventennio fascista. La concezione della dottrina e del partito unico comportano una attività amministrativa ridotta e burocratica che rischiano di far perdere al comune la sua indipendenza. Infatti nel 1928 la mobilitazione della cittadinanza al completo e la collaborazione del parroco Mons. Ragnini riescono a scongiurare la soppressione del comune e la sua unificazione con Agugliano. In questo periodo si realizzano alcune opere pubbliche (scuole rurali, nuovo acquedotto e campo sportivo) e si sviluppano alcune iniziative industriali (una fornace, una filanda, una fabbrica di fisarmoniche e una di oggetti in bachelite) che però non riescono ad incidere sul tessuto sociale ed economico del paese il quale, allo scoppio della guerra piomba in una nuova crisi protrattasi fino al termine del conflitto. Dai primi anni quaranta Polverigi, dopo aver visto partire molti suoi giovani per il servizio militare ed ospitato circa 2000 sfollati provenienti da tutta Italia, si trova a vivere secondo un’economia di guerra fatta di stenti e privazioni. Nel 1944, inoltre, viene coinvolto nella battaglia per la liberazione di Ancona (vedi box) che provoca gravi danni al centro storico e numerosi morti e feriti.

Dal miracolo economico al XXI secolo

Nei primi anni del dopoguerra il nostro comune è, e rimane ancora per un lungo periodo, un paese agricolo poco toccato dal miracolo economico, tanto che fino al 1973 deve sopportare una diminuzione della popolazione per il fenomeno dell’emigrazione e per mancanza di lavoro, ma negli anni successivi l’operosità dei nostri concittadini fa sorgere le prime industrie, risalire la popolazione e favorire lo sviluppo edilizio, produttivo ed urbanistico tanto che oggi, superati i 4000 abitanti Polverigi è conosciuto in regione per le sue capacità produttive ed in molte parti del mondo per le molteplici attività sociali e culturali che riesce a sviluppare.

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pubblicato il 2019/02/26 01:12:20 GMT+2 ultima modifica 2018-09-27T18:32:11+02:00

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